Le comunità energetiche
Cosa sono, come si creano e quali benefici prevedono.
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Le comunità energetiche
Di fronte agli effetti sconvolgenti dell’emergenza climatica, è sempre più necessario pensare a forme e modelli alternativi per la produzione dell’energia, in grado di agevolare il processo di transizione ecologica ed energetica.
Tra questi possibili modelli, dalla seconda metà degli anni 2000 le “comunità energetiche” hanno iniziato ad apparire nel dibattito pubblico con una sempre maggior frequenza, interessando un numero crescente di studiosi, determinati ad affrontare e approfondire la doppia finalità contenuta in questa espressione.
Da un lato, vi è chi si è focalizzato sul termine “comunità”, identificando gli elementi di uno strumento capace di promuovere una diversa concezione dei legami sociali e comunitari, in un momento storico in cui, tra l’altro, si sottolinea il ritorno delle culture locali e territoriali, anche alla luce delle dinamiche della “nuova” globalizzazione.
Dall’altro, non mancano quanti si concentrano invece sul termine “energetiche”, delineando le novità correlate alla produzione e al consumo di energia, due tematiche che si innestano in un più ampio ripensamento collettivo sui lati oscuri di un sistema economico sempre meno sostenibile. E, in particolare, di un sistema produttivo costretto a limitare e/o abbandonare le fonti che ne accompagnano la storia dalla Prima rivoluzione industriale, in ragione di impatti ambientali negativi e sempre meno tollerabili dal Pianeta e, come dimostrano le grandi mobilitazioni degli ultimi anni, dall’opinione pubblica.
Fondate sulla cittadinanza attiva e sulla partecipazione di diversi attori sociali, e orientate alla produzione di fonti rinnovabili, le comunità energetiche possono rappresentare importanti acceleratori di una transizione ecologica sostenibile.
Comunità energetiche: la guida completa
1. Le comunità energetiche in passato
Sebbene la nuova linfa ottenuta dalle comunità energetiche nel dibattito prima accademico e poi pubblico sia relativamente recente, la storia dei moderni istituti comunitari di produzione e condivisione di energia risale ben più indietro nel tempo. In Europa e in Italia, le organizzazioni collettive finalizzate alla produzione e vendita di energia elettrica hanno radici addirittura nell’Ottocento.
Nel nostro Paese, inoltre, diverse cooperative storiche, nate con l’intento di garantire un servizio altrimenti inaccessibile in aree periferiche, hanno saputo resistere nel corso del tempo, rimanendo in alcuni casi attive anche in seguito all’evoluzione normativa e istituzionale concretizzatesi con la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la nascita di ENEL nel 1962.
Le nostre istituzioni nazionali, infatti, riconoscendo la grande funzione sociale ricoperta da tali progetti comunitari, hanno previsto un regime particolare in deroga alle regole generali valide a livello nazionale per il mercato elettrico, il quale ha consentito di continuare a gestire, a livello locale, la produzione e la distribuzione dell’energia ivi prodotta.
Un esempio in questo senso è costituito dalle cooperative idroelettriche fiorite nella prima parte del Novecento nell’arco alpino, per fare fronte alle necessità sociali ed energetiche della popolazione presente nelle aree di montagna.
Non è un caso che tali iniziative siano spesso sorte in contesti sociali nei quali si erano costituiti dei forti legami di natura culturale e territoriale, in un processo di sviluppo che segna forti linee di continuità in diverse aree della penisola, caratterizzate storicamente da un più elevato grado di capitale sociale.
2. Le comunità energetiche oggi
Anche se le comunità energetiche non sono un fenomeno nuovo in sé, esse rappresentano senza dubbio un modello innovativo nell’ambito di quella che l’economista Jeremy Rifkin ha definito nell’omonimo saggio di alcuni anni fa la Terza rivoluzione industriale (Rifkin, 2011) e, più in generale, della transizione ecologica e del cambio di paradigma in chiave sostenibile che siamo chiamati oggi ad attraversare.
Un primo fattore di innovazione delle comunità energetiche si delinea fin nei presupposti della loro concezione e implementazione, ovvero sul piano di confronto che coinvolge i diversi attori sociali interessati a farne parte, poiché esse implicano la collaborazione di cittadini, imprese e amministrazioni nella produzione e condivisione di energia rinnovabile in uno scambio tra pari.
Un secondo fattore è quello che riguarda la tipologia di energia prodotta: tra le finalità più evidenti di questo modello vi è quella ambientale, che concerne la promozione della produzione di energia rinnovabile, con l’obiettivo di incentivare il prossimo e necessario abbandono delle fonti fossili, il cui impatto ambientale negativo si sta rivelando sempre più evidente su scala globale.
Le comunità energetiche uniscono quindi due elementi che, negli ultimi anni, sono stati al centro di una riflessione globale sullo sviluppo sostenibile. Più nel dettaglio, il 2015 può essere individuato come l’anno decisivo per un cambio di passo sul tema, in quanto con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e gli accordi di Parigi sul cambiamento climatico sono state individuate le principali direttrici della transizione ecologica da parte della comunità internazionale.
3. Le direttive europee e le comunità energetiche
Se il 2015 è il momento di svolta per quanto riguarda l’azione internazionale sullo sviluppo sostenibile, restringendo il campo e prendendo in considerazione il continente europeo, l’adozione del Clean Energy for all Europeans Package del 2019 costituisce il passaggio chiave per un nuovo approccio all’energia e non solo.
Con il Clean Energy for all Europeans Package, infatti, viene previsto un importante allargamento del bacino di soggetti giuridici che possono giocare un ruolo attivo all’interno del processo di transizione ecologica, in vista del raggiungimento degli obiettivi definiti dall’European Green Deal. Si tratta di uno dei pilastri delle direttive “rinnovabili” (2018/2001/UE, la cosiddetta RED II) e “mercato” (2019/944/UE, o IEM), che introducono nel quadro giuridico comunitario importanti novità per quanto riguarda le comunità energetiche.
In tali direttive, viene declinato lo scopo principale che si prefigurano di raggiungere le comunità energetiche. Secondo la RED II, esse intendono “fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari”, mentre in base alla IEM il loro obiettivo è quello di offrire ai […] membri o soci o al territorio in cui opera benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità, anziché generare profitti finanziari”.

COME CAMBIARE L'ECONOMIA
Strumenti di rendicontazione,
progettazione e valutazione multidimensionali e partecipati
4. I riferimenti normativi a livello nazionale
A livello nazionale, una prima disciplina si è avuta con il combinato disposto della legge 8/2020 (che ha convertito in legge l’articolo 42/bis DL 162/19), della delibera 318/2020/R/eel dell’ARERA, che indica le modalità e la regolazione economica relative all’energia oggetto di condivisione, e del decreto del Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) del 16 settembre 2020, che definisce il sistema incentivante per gli impianti a fonti rinnovabili.
La legge 8/2020, facendo seguito a quanto previsto dalla direttiva europea, stabilisce che l’obiettivo della comunità energetica rinnovabile “è di fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai suoi azionisti o membri o alle aree locali in cui opera la comunità, piuttosto che profitti finanziari”, mentre in base alla delibera ARERA
“le comunità energetiche rinnovabili si basano sulla partecipazione aperta e volontaria, sono effettivamente controllate da azionisti o membri che sono situati nelle vicinanze degli impianti di produzione detenuti dalla comunità di energia rinnovabile. Gli azionisti o membri sono persone fisiche, piccole e medie imprese (PMI), enti territoriali o autorità locali, comprese le amministrazioni comunali, a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non costituisca l’attività commerciale e/ o industriale principale.”
In seguito, la direttiva REM II è stata recepita con il d.lgs. 8 novembre 2021 n. 199 “Attuazione della direttiva (UE) 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”.
La nuova normativa ha segnato un cambio di passo per quanto concerne l’ambito di applicazione delle Comunità energetiche, in quanto essa è intervenuta, anche in risposta alle criticità sollevate da una pluralità di attori, su alcuni elementi di rilievo, quali i possibili attori partecipanti alla comunità energetica, la struttura degli impianti produttivi e la loro potenza, al fine di:
- ampliare le tipologie di soggetti partecipanti, includendo anche le imprese del terzo settore e gli enti religiosi, nonché tutte le amministrazioni locali dell’elenco ISTAT;
- aumentare la potenza energetica ammessa ad incentivo dai 200 KW previsti precedentemente a 1 MW;
- modificare il presupposto del collegamento dei partecipanti alla medesima cabina da secondaria a primaria.
5. Gli incentivi per le comunità energetiche
Un aspetto da non sottovalutare per quanti vogliano associarsi o aderire a una comunità energetica rinnovabile è quello degli incentivi economici, che rendono ancora più conveniente tale investimento.
Infatti, oltre ai benefici economici che vengono generati in prospettiva, il Legislatore ha previsto una serie di misure che vanno a favorire, in particolare, l’energia condivisa, ovvero l’energia prodotta dagli impianti a energia rinnovabile e autoconsumata, anche tramite l’utilizzo di sistemi di accumulo, dai membri della comunità.
Gli incentivi destinati alle comunità energetiche rinnovabili sono stati predisposti con il Decreto Ministeriale del MISE del 16 settembre 2020: per quanto riguarda l’energia condivisa, questa riceve una tariffa incentivante di 110€/MWh, mentre come premio per le minori perdite di rete generate dalla condivisione dell’energia è stato stabilito un incentivo di 9 €/MWh.
Ulteriori misure incentivanti previste dal Legislatore sono:
- La detrazione fiscale del 50% per l’installazione degli impianti, che si applica anche al caso delle comunità energetiche rinnovabili, a patto che la potenza complessiva risulti inferiore ai 20kWp con relativi sistemi di accumulo;
- La maxi-detrazione fiscale del 110% del Superbonus per l’installazione degli impianti, a patto che questi non abbiano una competenza superiore a 20kWp e che la spesa complessiva per la realizzazione non sia superiore a 96.000 euro. Nel caso si decida di usufruire del Superbonus, non è possibile cumulare a questo l’incentivo relativo ai 110 €/MWh per l’energia condivisa.
6. Dai fondi del PNRR alla transizione comunitaria
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza inserisce le comunità energetiche all’interno della Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica, prevedendo un investimento di 2,2 miliardi di euro che estende la sperimentazione avviata dalla Direttiva RED II a una “dimensione più significativa e di focalizzarsi sulle aree in cui si prevede il maggior impatto socio-territoriale”.
È importante sottolineare come i fondi destinati alle comunità energetiche intendono favorire la transizione ecologica sostenendo, allo stesso tempo, l’economia dei piccoli Comuni con meno di 5.000 abitanti, spesso a rischio spopolamento, e puntando così a rafforzare la coesione sociale.
In base alla previsione del documento, la realizzazione di questi interventi porterebbe a una produzione di circa 2.500 GWh all’anno, contribuendo a una riduzione delle emissioni di gas serra stimata in circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno.
Si tratterebbe di un apporto fondamentale per gli obiettivi della transizione ecologica. Per un’idea più definita della portata di questo cambiamento, possono essere utili le stime formulate da uno studio del Politecnico di Milano.
Nei prossimi cinque anni, gli utenti residenziali che parteciperanno alla costituzione delle comunità energetiche o di autoconsumo collettivo saranno tra 960mila e 1.630.000. Inoltre, a questi si aggiungerebbero tra le 3.000 e le 6.000 aziende di distretti industriali che si costituiranno in comunità di autoproduzione, autoconsumo e scambio, con benefici in termini di incremento degli investimenti nel settore dei fornitori di tecnologia pari a 2,2-3,8 miliardi di euro.
Per questo, come mette in luce Legambiente nel suo recente rapporto sullo sviluppo delle comunità energetiche sul territori, è indispensabile che le autorità istituzionali prevedano politiche di finanziamento adeguate e si muovano nella direzione di facilitare gli investimenti anche per le comunità e i soggetti che si trovano attualmente più in difficoltà. Il percorso di transizione ecologica, infatti, deve riuscire a rivelarsi sostenibile per la società nel suo complesso.
7. Come si creano le comunità energetiche
Il percorso di costituzione di una comunità energetica può prendere il via su iniziativa di un soggetto privato o pubblico.
Il primo passo consiste dell’analisi del contesto, che comprende l’individuazione dell’area di produzione, ovvero del luogo in cui saranno costruiti l’impianto o gli impianti di generazione dell’energia, e l’identificazione dei membri interessati a partecipare al processo.
La seconda fase è quella che riguarda invece la definizione della visione e del modello di comunità: in questo passaggio, vengono stabiliti la visione e gli obiettivi della comunità energetica rinnovabile per quanto concerne le dimensioni sociale e ambientale, oltre che del modello giuridico che i partecipanti intendono adottare.
La terza fase prevede invece il coinvolgimento e l’attivazione dei soggetti privati e pubblici potenzialmente interessati: questo significa che devono essere predisposti dei meccanismi che facilitino la partecipazione dei futuri membri della comunità energetica, e che si proceda alla raccolta delle manifestazioni di interesse e delle autorizzazioni necessarie per le successive fasi del processo.
La quarta fase corrisponde all’analisi preliminare: in primo luogo vengono raccolti i dati relativi al consumo di energia, per poi passare allo sviluppo dei piani economico-finanziari degli impianti di produzione di energia. A questo punto, vengono individuate le modalità di finanziamento, private o pubbliche, volte a sostenere da un punto di vista economico la costituzione degli impianti.
Nella quinta fase si procede alla costituzione della comunità energetica come entità giuridica, attraverso la redazione dell’atto costitutivo e la formulazione delle specifiche tecniche che regolano i rapporti tra i soggetti che partecipano alla comunità e tra questa e l’esterno.
La sesta fase prevede la realizzazione degli impianti: dopo avere identificato le modalità corrette, ovvero aderenti al quadro giuridico esistente, si passa all’identificazione dell’operatore economico che si occuperà della procedura, per poi arrivare alla formulazione della richiesta di connessione da indirizzare al gestore di rete.
Infine, la settimana fase, ovvero l’ultimo passaggio chiave per arrivare alla piena attività della nuova comunità energetica, corrisponde alla richiesta al Gestore dei servizi elettrici, che porta all’avvio della procedura di accesso agli incentivi per l’energia condivisa.
8. Perché sono importanti, in una prospettiva interna e internazionale
Le comunità energetiche rappresentano ben più di un “semplice” modello di produzione di fonti rinnovabili. Sebbene il loro sviluppo non possa essere interpretato come una soluzione a tutte le problematiche che deve superare l’Italia tanto in una prospettiva interna quanto internazionale, esse rivelano notevoli punti di forza su un orizzonte multidimensionale.
Ai benefici ambientali ed economici garantiti dalla realizzazione di impianti diffusi e gestiti in maniera orizzontale e condivisa si aggiungono quelli sul fronte della fiducia tra cittadini, enti privati e pubblici, due elementi che le comunità energetiche possono rilanciare dopo anni in cui si è registrato un arretramento sul fronte della coesione sociale e della legittimazione delle istituzioni.
In questo senso, le comunità energetiche possono diventare una forza promotrice di dinamiche partecipative e virtuose, segnando una cesura con il passato recente che ha visto un aumento della distanza tra opinione e sfera pubblica.
Inoltre, nella cornice della vasta crisi che attraversa attualmente il continente europeo, le comunità energetiche ricoprono un ruolo fondamentale per la transizione ecologica ma anche per la strategia energetica del nostro Paese. Gli avvenimenti che negli ultimi mesi hanno sconvolto il nostro continente testimoniano, una volta di più, quanto siano strettamente interconnesse la dimensione ambientale, quella sociale e, non ultima quella geopolitica.
Con la guerra in Ucraina che ha evidenziato una volta di più quanto il nostro sistema economico sia dipendente dalle fonti fossili e, in una prospettiva globale, esposto ai rischi dell’instabilità geopolitica, nel dibattito pubblico italiano si è fatta strada la convinzione che un cambiamento radicale sia infatti necessario e urgente non solo sul versante della sostenibilità.
Incentivare la produzione di fonti rinnovabili in loco per l’Italia significa, infatti, evitare di dover scendere a compromessi non solo poco vantaggiosi da un punto di vista economico ma anche rischiosi dal punto di vista dell’immagine e del margine di azione sullo scenario internazionale.
9. Da consumatori a prosumer
Oltre all’importante contributo che possono apportare per quanto concerne la produzione da fonti rinnovabili, le comunità energetiche costituiscono un modello di produzione diffusa e partecipata di energia capace di trasformare la visione dei cittadini nel loro rapporto con il “mercato”, superando il ruolo di meri consumatori e iniziando a ottenere vantaggi e benefici di cui, nei modelli energetici tradizionali, godevano solamente i produttori.
Le comunità energetiche si fondano sulla premessa che tutti i soggetti, siano essi pubblici o privati, possano diventare, nella collaborazione tra loro, contemporaneamente produttori e consumatori di energia. Questo comporta due principali cambiamenti nella relazione che intercorre tra cittadini ed enti privati, e di riflesso le istituzioni pubbliche.
Da una parte, infatti, il modello delle comunità energetiche supera il rapporto top–down che ha contraddistinto l’erogazione delle “tradizionali” fonti energetiche, in primis le fonti fossili. Dall’altra, esso elimina la classica distinzione tra domanda e offerta, un fenomeno che si riscontra anche in altre dimensioni fondamentali della nostra epoca, in cui riusciamo spesso a svolgere, all’interno del medesimo luogo, tanto la funzione di produttori quanto quella di consumatori – pensiamo solamente all’esempio delle piattaforme digitali.
Questo sviluppo, apparentemente limitato a un settore economico, comporta un’evoluzione ben più ampia: attraverso la produzione, l’immagazzinamento e il consumo di energia elettrica i prosumer sono in grado di svolgere un ruolo più attivo nella transizione ecologica e nello sviluppo sostenibile del Paese, favorendo la crescita delle fonti rinnovabili.
10. Comunità energetiche e cittadinanza attiva
Le implicazioni delle comunità energetiche sono molto importanti anche sotto il profilo del rapporto tra cittadinanza e sfera pubblica. Questo modello infatti rappresenta un prezioso strumento di cittadinanza attiva, oggi fondamentale per restituire e rilanciare la forza e la vitalità della società civile, uno degli attori principali dei regimi democratici.
Le comunità energetiche infatti possono portare a uno sviluppo della capacità delle risorse locali di innescare processi di mobilitazione democratica, orientati al raggiungimento di obiettivi non soltanto ambientali, ma di giustizia sociale, di inclusione, di eguaglianza sociale ed economica.
Proprio per la rilevanza dell’energia e degli innovativi meccanismi sociali che determinano e sono innescati dalla sua produzione, da diverso tempo nel dibattito accademico e pubblico – soprattutto in seguito alle grandi mobilitazioni sul tema dell’emergenza climatica e all’avvio di una nuova concettualizzazione del rapporto tra questa e la sfera politico-sociale -, si è fatta strada la locuzione inglese energy democracy, tradotta in italiano attraverso le espressioni “energia democratica” o “democrazia energetica”.
La sfida di oggi è quella di una rivoluzione che va ben oltre il piano macroeconomico, con la fine del monopolio delle fonti fossili e il ridimensionamento delle grandi aziende multinazionali. Il paradigma della democrazia energetica prevede che tutti i cittadini saranno chiamati a maturare competenze in questo ambito per riuscire a orientarsi con strumenti affinati nel nuovo aspetto. Non solo per motivi di gestione degli impianti condivisi, ma per la stessa logica che sottende a questo sviluppo: la gestione a livello comunitario del bene comune dell’energia, e delle sue ricadute in tutte le dimensioni sopra citate.
11. L’importanza della Nuova energia
Le comunità energetiche possono offrire una grande opportunità per fare fronte a uno dei problemi più drammatici del nostro territorio nazionale: la povertà energetica.
La povertà energetica indica, sostanzialmente, l’impossibilità da parte di famiglie o individui di procurarsi un paniere minimo di beni e servizi energetici, ovvero quei servizi fondamentali che assicurano uno standard di vita dignitoso. Vivere in una situazione di povertà energetica significa quindi soffrire di importanti conseguenze negative per quanto concerne il benessere e l’inclusione sociale.
Secondo l’ultima analisi dell’Osservatorio Italiano sulla Povertà Energetica, nel 2021 la spesa energetica delle famiglie italiane è aumentata del 20 per cento rispetto all’anno precedente, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi di gas ed elettricità. Alla fine del 2021, le famiglie hanno dovuto pagare in media il 35% in più per l’elettricità, mentre il prezzo del gas è aumentato del 41 per cento.
Con i prezzi è aumentato anche il tasso, come misurato dal Piano nazionale integrato clima energia (PNIEC) e del Piano per la transizione ecologica (PTE) che rileva la povertà energetica in Italia: alla fine del 2021, la povertà energetica riguardava l’8,5% delle famiglie italiane, con 125mila famiglie italiane in più rispetto al 2020.
In questo contesto, le comunità energetiche possono rappresentare uno strumento indispensabile per riuscire a superare le disparità energetiche oggi presenti in Italia. In aggiunta, per quanto sostenuto nella parte dedicata agli incentivi, esse possono giocare un ruolo attivo per interventi di efficientemente energetico di impianti e strutture già presenti e in attività, andando, in entrambi i casi, a generare un impatto multidimensionale sul benessere dei cittadini.
12. L'autoproduzione di energia rinnovabile
L’emergenza climatica è la grande sfida del nostro tempo. Sempre di più, in ogni angolo del globo, vediamo gli effetti negativi prodotti da un sistema socio-economico che si rivela ogni giorno che passa più insostenibile.
Tutte le aree del mondo vivono l’esperienza del riscaldamento globale, anche se ogni regione, e le comunità che vi abitano, sono affette in un modo diverso. Nemmeno i grandi accordi nati in seno alla comunità internazionale, tra cui gli Accordi di Parigi del 2015, finora sono stati capaci di riorientare la società sul binario della sostenibilità, mentre alcuni studi sottolineano come il rischio che corriamo, mantenendo gli attuali livelli di produzione, è di superare i tre gradi centigradi addirittura entro il 2050.
Come illustra l’ultimo rapporto di Legambiente, negli ultimi 20 anni il sistema di produzione dell’energia elettrica in Italia è cambiamento profondamente: gli impianti da fonti rinnovabili sono infatti aumentati di 42,6mila MW, partendo da 18.196 MW del 2000.
Tuttavia, il sistema non è cambiato abbastanza: il nostro territorio ha ancora opportunità inesplorate nella dimensione energetica, mentre continuano a preoccupare i tassi di produzione delle fonti fossili registrati anche di recente, senza considerare i rapporti stretti con i grandi produttori internazionali a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.
In questo scenario, le comunità energetiche possono rappresentare una possibile ancora di salvezza. Da diverse analisi effettuate negli ultimi anni, è emerso che quando viene installato un sistema ibrido o multi-energia ottimale, le emissioni di gas serra possono essere ridotte del 37,6–84%, a seconda del sistema di riferimento e delle tecnologie utilizzate.
Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo le stime del PNRR la realizzazione degli interventi previsti nel documento porterebbe a una produzione di circa 2.500 GWh all’anno, contribuendo a una riduzione delle emissioni di gas serra stimata in circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. In base a uno studio del Politecnico di Milano, invece, il contributo delle comunità energetiche rispetto alla produzione da fotovoltaico sarà compresa tra il 7,5% e il 15,5%, in relazione alla portata dello sviluppo che si avrà fino al 2025.
Un ultimo fattore da non sottovalutare riguarda la maggiore consapevolezza sulla dimensione ambientale che il prendere piede di questo modello può comportare. Se già negli ultimi anni si sono segnati dei passi in avanti nell’opinione pubblica, come ad esempio sulla rilevanza che i cittadini attribuiscono alla sostenibilità delle aziende al momento del consumo, la competenza maturata con lo sviluppo delle comunità energetiche potrebbe mostrarsi cruciale per spingere società e mercato nella direzione giusta.
13. I vantaggi delle comunità energetiche
Oltre a ricoprire un ruolo fondamentale nel contrasto alla povertà energetica, le comunità energetiche assicurano molti benefici economici, derivanti da una serie di fattori tra cui:
- Sfruttamento delle economie di scala;
- Costo minore dell’energia, se paragonato alle tariffe standard;
- Costo più stabile dell’energia, in ragione della più bassa dipendenza dai mercati e dall’incertezza che contraddistingue le fonti fossili.
I benefici economici sono ancora più rilevanti in un momento storico in cui l’instabilità che circonda le fonti fossili e l’inflazione che continua a crescere incidono pesantemente sul potere di acquisto delle famiglie italiane.
Anche se fare delle stime sul risparmio effettivo risulta complicato, il direttore sales business & energy solutions di Sorgenia, Mario Mauri, sostiene come più si consuma nel momento in cui l’impianto produce, più si guadagna: il risparmio in bolletta sarebbe compreso tra il 20% e il 40%, senza considerare gli incentivi statali.
Inoltre, tenute in considerazione tutte le variabili ambientale, sociali e geopolitiche, il risparmio in bolletta garantito dalle comunità energetiche assume un valore anche in prospettiva, in quanto uno dei risultati di una strategia complessiva volta all’aumento della produzione autonoma da fonti rinnovabili e all’indipendenza energetica sarebbe tangibile anche sulla dimensione economica.
Le comunità energetiche trasformerebbero quello che è ora sostanzialmente un costo in una risorsa per il futuro, in grado di creare un valore a livello individuale, comunitario e territoriale.
14. NeXt Economia e le comunità energetiche
Le comunità energetiche rappresentano una grande opportunità, per vincere la sfida della transizione ecologica ma anche per valorizzare le possibilità del territorio e rafforzare la coesione sociale delle comunità locali.
La fiducia tra cittadini, società civile e istituzioni è un elemento indispensabile per la salute della democrazia: per questo, le potenzialità di un modello che permette a tutti gli attori del territorio di collaborare in una cornice condivisa e per una finalità comune sono molto importanti.
Proprio perché crede in questo progetto, NeXt Economia mette a disposizione di enti pubblici e privati la progettazione, la creazione e la valutazione d’impatto multidimensionale delle Comunità necessarie per avviare le CERIS – Comunità Energetiche Rinnovabili a Impatto Sociale.
Il nostro team di esperti, in sinergia con i nostri strumenti di co-programmazione e co-progettazione, realizzerà un progetto energetico personalizzato sulle necessità del territorio in cui verrà realizzata la CERIS.
Il nostro percorso creerà un’infrastruttura sociale permanente che rimarrà a disposizione di tutta la Comunità coinvolta.
15. Il metodo di NeXt Economia
La costruzione e/o il rafforzamento dei legami comunitari è il primo obiettivo di ogni progettualità che voglia puntare su un orizzonte di lungo periodo. Per questa ragione, l’intervento di NeXt Economia parte dall’individuazione delle possibilità di collaborazione tra gli attori del territorio e della loro messa in rete, per arrivare a concludersi con l’analisi ex–post del percorso intrapreso.
Le diverse tappe sono:
- Creazione di una infrastruttura sociale di base attraverso il network di NeXt e la messa in rete di Enti del Terzo Settore, Imprese Sociali, Comuni e altre organizzazioni locali e nazionali;
- Organizzazione degli incontri con la Comunità per la co-programmazione e la co-progettazione delle attività della CERIS;
- Stesura del Patto di Rete® e di Comunità e dell’idea di sviluppo della CERIS;
- Creazione di una filiera produttiva, culturale e lavorativa a sostegno dell’identità della Comunità (valorizzando l’impegno già messo in campo sulle CER da Confcooperative e Federcasse);
- Valutazione dell’impatto sociale e ambientale della Comunità Energetica da utilizzare nella reportistica di enti pubblici e privati;
In poche parole, questo significa che il percorso proposto da NeXt Economia non è immaginato “semplicemente” per arrivare alla creazione di una nuova comunità energetica, ma come primo momento di un processo che continua nel tempo. La valutazione dell’impatto sociale e ambientale che si configura come passaggio conclusivo, infatti, se da un lato definisce il perimetro del progetto realizzato, contribuisce anche allo stesso tempo a evidenziare i margini di crescita per il futuro.